Bora Baboci, João Freitas, Enej Gala, Albano Hernandez, Mehdi-Georges Lahlou, Mirthe Klück, Leonardo Meoni, Giovanni Oberti, Oscar Abraham Pabón, Eugenia Vanni, Xiao Zhiyu, Francesco Carone
Bora Baboci, Adam Bilardi, Enej Gala, Cecilia Granara, Julien Monnerie, Jessy Razafimandimby, Ambra Viviani
Giulio Delvè, João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Giovanni Oberti, Oscar Abraham Pabón, Namasal Siedlecki, Jamie Sneider, Eugenia Vanni, Xiao Zhiyu
João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Oscar Abraham Pabón, Eugenia Vanni
Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Eugenia Vanni, Serena Vestrucci
Sara Enrico, Helena Hladilovà, Pietro Manzo, Giovanni Oberti
Appena usciti dalla Curva di San Martino, forse la curva a maggior rischio caduta dell’intero tracciato, i cavalli sfrecciano sull'anello perimetrale della Piazza del Campo, normalmente lastricato di pietra serena, che alcuni giorni prima della corsa viene ricoperto da uno strato di terra composto prevalentemente da sabbia pliocenica. Presi nella concitazione della giostra (“competizione”), né questi, né i fantini – tantomeno la folla che li segue con trepidante apprensione - si renderanno conto che sul fondo della discesa, appena prima della cappella votiva innalzata per ringraziare la Madonna della scampata epidemia di peste del 1348, proprio all’angolo con via Salicotto, nascosta dietro i materassi di protezione, la galleria FuoriCampo espone già dal 28 Giugno le opere di Helena Hladilovà e Namsal Siedlecki, due giovani artisti che vivono e lavorano tra Seggiano (Gr) ed il resto d’Europa.
È verosimilmente assai più probabile che le opere in galleria sentano il boato della piazza e il ritmato scalpitio dei cavalli lanciati sullo strato di “tufo”, il cui spessore, pur variando in diversi punti, risulta essere mediamente di 15 cm circa compattato attraverso l’uso di compressori e innaffiato periodicamente si raggiunge lo scopo di non far asciugare troppo la terra, che si mantiene elastica e compatta. Alla fine del Palio la terra viene recuperata e portata dentro dei depositi per essere ripulita e conservata e poter essere riutilizzata l'anno seguente la terra su cui viene corso il Palio è sempre la stessa da lungo tempo, testimone silenzioso di tante gioie e sofferenze. Durante l'anno questa enorme quantità di terra viene accudita, per mantenerla 'viva'. Movimentata e annaffiata con regolarità. Questa dedizione verso uno degli elementi fondamentali del Palio è la scintilla che dà il via al racconto in cui la galleria diviene estensione della piazza, un piccolo teatro dove gli artisti inscenano una loro personale rilettura della corsa. Adagiati sulla terra vi sono una serie di sculture in argento realizzate da Namsal Siedlecki che nascono da una delle tradizioni del Palio, si tratta dell'unico strumento che accompagna il fantino durante la corsa: il Nerbo. Una frusta realizzata manipolando il pene di un toro che viene appeso al soffitto con dei pesi e lasciato allungare e asciugare per alcuni mesi fino a raggiungere la lunghezza di un metro circa. Il Nerbo è stato interamente avvolto tramite un bagno galvanico con uno strato di 3 mm d'argento nel tentativo di creargli una sorta di armatura che protegga la materia organica dal contatto con l'ossigeno, nel tentativo di preservare la conoscenza della tradizione in un involucro protettivo, un sarcofago d' argento destinato alla posterità. Il Nerbo del fantino vincitore viene conservato con venerazione all'interno delle contrade, simbolo, oltre al Palio stesso, di una competizione che non prevede un secondo posto, dove solo il vincitore ha accesso alla gloria. Con i Nerbi d'argento l'artista si cala in una delle moltissime sfumature che compongono il Palio di Siena, umana commedia e trasfigurazione teatrale delle relazioni sociali.
Completa la mostra, un grande arazzo realizzato da Helena Hladilovà che copre la quasi totalità della parete principale dello spazio espositivo. Il trofeo della corsa è un drappo di seta dipinto che la contrada vincitrice conserva nel museo d' appartenenza, tutto il Palio è animato da una miriade di colori, icone, bandiere, vessilli e abiti ricamati (monture). L'artista prende spunto da questo multiforme universo e lo tramuta in uno stendardo tessuto a mano, dove i richiami alle simbologie paliesche sono celati dietro un'astrazione formale che trasmette la dinamicità di una corsa che sopravvive immutata allo scorrere dei secoli e sembra trovare compimento per Helena Hladilovà nella parossistica fissità del bianco/nero.
L’ubicazione della galleria, appena fuori dalla piazza (Il Campo) dove si svolge la Festa (il Palio), come la scelta della data d’inaugurazione, il 28 giugno, il giorno prima della Tratta (l’assegnazione dei cavalli alle Contrade che corrono il Palio) delineano un immaginario in cui l’arte riempie gli spazi della galleria come una prosecuzione del fragore emotivo che anima la città durante i periodi del palio. Un fermo immagine che cristallizza i luoghi e i protagonisti per riportare a una dimensione intima il caos dionisiaco che anima il rito.