Bora Baboci, João Freitas, Enej Gala, Albano Hernandez, Mehdi-Georges Lahlou, Mirthe Klück, Leonardo Meoni, Giovanni Oberti, Oscar Abraham Pabón, Eugenia Vanni, Xiao Zhiyu, Francesco Carone
Bora Baboci, Adam Bilardi, Enej Gala, Cecilia Granara, Julien Monnerie, Jessy Razafimandimby, Ambra Viviani
Giulio Delvè, João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Giovanni Oberti, Oscar Abraham Pabón, Namasal Siedlecki, Jamie Sneider, Eugenia Vanni, Xiao Zhiyu
João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Oscar Abraham Pabón, Eugenia Vanni
Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Eugenia Vanni, Serena Vestrucci
Sara Enrico, Helena Hladilovà, Pietro Manzo, Giovanni Oberti
In mostra una serie di opere che seguono con coerenza la ricerca dell’artista incentrata sull’uso di materiali estratti dai contesti abituali e proiettati verso una loro alternativa, reale, valenza estetica e concettuale.
Materiali che spesso vengono sottoposti ad interventi di invecchiamento, manipolazione o scarnificazione, come a volerne individuare l’originaria drammatica universalità che il fine utilitaristico dell’oggetto nasconde, fino a cogliere in essi una immagine sospesa tra ricordo e desiderio. Una poetica che si manifesta nella memoria del materiale, a partire dalle caratteristiche sue proprie, nel risultato – o nel residuo - di una trasformazione che porta in superficie la struttura della materia di cui la figura è solo un riflesso transitorio, mutevole come la forma.
I lavori esposti si arricchiscono di una riflessione originata dall’incontro con la natura nella sua coniugazione di creante, deterministico ma casuale. Un dialogo intimo che ricerca una corrispondenza effettiva tra la materia e la variabile che muove l’atto ed il divenire, sospesa tra volontà ed accidente.
Il bisogno di dare una forma all’esistente si arresta di fronte alla consapevolezza di uno sguardo che determina in parte la percezione dell’oggetto. Tuttavia la forma è solo - e la sola - occorrenza della materia. L’immagine sembra quasi il prodotto di scarto di un processo in cui l’elaborazione del metodo segue la misura del tempo biologico e del tempo interiore.
Una convinzione che emerge chiara nell’opera Notes of Comacina, realizzata durante la residenza trascorsa sull’omonima isola del Lago di Como, in cui “l’intento di creare un disegno/ritratto “sincero” della natura e del momento” costringe a rinunciare alla “percezione che influenza il disegno”.
Ogni raffigurazione tradisce, perché svela, la distanza fra natura ed artificio. L’atto creativo è il principio del mutamento come causa di sé. Il gesto artistico sta nel cogliere il fluire della realtà e tutto quello che gli è passato davanti come occasione o necessità. La volontà di allontanarsi sia dall’immagine come elemento passivo del procedimento sia dall’autorialità come compromesso con la materia - avviata a intraprendere il suo percorso autonomo - restituisce opere che sembrano momenti di un ciclo non concluso, ma inevitabile.
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