Bora Baboci, João Freitas, Enej Gala, Albano Hernandez, Mehdi-Georges Lahlou, Mirthe Klück, Leonardo Meoni, Giovanni Oberti, Oscar Abraham Pabón, Eugenia Vanni, Xiao Zhiyu, Francesco Carone
Bora Baboci, Adam Bilardi, Enej Gala, Cecilia Granara, Julien Monnerie, Jessy Razafimandimby, Ambra Viviani
Giulio Delvè, João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Giovanni Oberti, Oscar Abraham Pabón, Namasal Siedlecki, Jamie Sneider, Eugenia Vanni, Xiao Zhiyu
João Freitas, Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Oscar Abraham Pabón, Eugenia Vanni
Mirthe Klück, Marco Andrea Magni, Eugenia Vanni, Serena Vestrucci
Sara Enrico, Helena Hladilovà, Pietro Manzo, Giovanni Oberti
Un progetto di Ettore Favini, Esther Biancotti e Jacopo Figura
con un testo di Rossella Farinotti
La mostra collettiva Il paradigma di Kuhn riunisce le opere di 19 artisti, dilatandosi in due sedi e in due momenti diversi: il primo atto si svolge nella galleria FuoriCampo di Siena, che ospiterà dal 20 gennaio al 31 marzo 2018 una serie di 19 piccoli lavori realizzati da Marco Basta, Thomas Berra, Alessandro Biggio, Andrea Bocca, Pamela Diamante, Antonio Fiorentino, Mafalda Galessi, Corinna Gosmaro, Helena Hladilovà, Vincenzo Napolitano, Dario Pecoraro, Alessandro Polo, Gianni Politi, Agne Raceviciute, Stefano Serretta, Namsal Siedlecki, Luca Trevisani, Serena Vestrucci, Mauro Vignando.
Fu l’epistemologo Thomas S. Kuhn nel suo libro più famoso La struttura delle rivoluzioni scientifiche a indicare che la scoperta comincia con la presa di coscienza di un’anomalia rispetto alle aspettative, che viene esplorata finché la teoria paradigmatica non viene riadattata, e ciò che era anomalo si trasforma in normalità. Esiste dunque un legame di continuità fra scienza e rivoluzione, nel senso che lo scienziato opera sempre all’interno di una cornice di riferimento riconosciuta e apparentemente solida, fino ad individuare il limite e a superarlo con un adattamento teorico, alimentando dunque il seme del cambiamento verso una nuova rivoluzione.
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Questa mostra nasce da una concatenazione fortuita di eventi, quella che in ambito scientifico verrebbe definita serendipità, ovvero «nell’osservazione di un dato imprevisto, anomalo e strategico che fornisce occasione allo sviluppo di una nuova teoria o all’ampliamento di una teoria già esistente». Da tempo stavamo cercando di realizzare una mostra che offrisse la possibilità di mostrare uno scenario di artisti e di opere “nuove”. Lentamente il corpo di questa mostra si componeva in modo spontaneo, non ci risultava ancora chiaro l'accostamento di opere e artisti, ma ragionando in modo più approfondito all'interno delle opere di ciascun artista, era sempre più chiara la sensazione di serendipità: tipico elemento della ricerca scientifica, quando spesso scoperte importanti avvengono mentre si stava ricercando altro.
A tal proposito vale la pena di ricordare le parole dell’ epistemologo Thomas S. Kuhn nel suo libro più famoso “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”: «la scoperta (scientifica) comincia con la presa di coscienza di un’anomalia, ossia col riconoscimento che la natura ha in un certo modo violato le aspettative suscitate dal paradigma che regola la scienza normale; continua poi con un’esplorazione, più o meno estesa, dell’area dell’anomalia, e termina solo quando la teoria paradigmatica è stata riadattata, in modo tale che ciò che era anomalo diventa ciò che ci si aspetta». Poiché l’anomalia è visibile soltanto a partire dal punto di vista del paradigma, dai limiti e dalle condizioni che impone, esiste un legame di continuità fra scienza normale e rivoluzione. Lo scienziato (normale o rivoluzionario) opera perciò all’interno di una cornice di riferimento riconosciuta fino ad individuare il limite esplicativo di quella teoria. In questo senso la scienza normale è rivoluzionaria più della rivoluzione stessa che cerca la condivisione e il consenso istituzionale.
La comunità scientifica testimonia la bontà del paradigma e per un certo periodo di tempo gli riconosce la capacità di costituire il fondamento della sua prassi ulteriore. Tuttavia questo contiene già in sé gli elementi che porteranno al suo superamento, una sorta di “dialettica della ragione paradigmatica”, che alimenta al suo interno il seme del cambiamento. Inizialmente solo un piccolo gruppo di studiosi aderisce alla nuova visione del mondo diffondendo con la loro pratica la capacità euristica della nuova teoria. Un po' alla volta il “sistema” scientifico se ne appropria e ne fa paradigma.
È con il passaggio dal vecchio al nuovo paradigma, afferma ancora Kuhn, che si compiono le rivoluzioni scientifiche, cioè «quegli episodi di sviluppo non cumulativi, nei quali un vecchio paradigma è sostituito, completamente o in parte, da uno nuovo incompatibile con quello [… e che …] sono introdotte da una sensazione crescente che un paradigma esistente ha cessato di funzionare adeguatamente nella esplorazione di un aspetto della natura verso il quale quello stesso aveva precedentemente spianato la strada». Seguendo il pensiero di Kuhn possiamo rilevare diverse analogie con quanto accade nel mondo dell’arte dove brevi momenti di rivoluzione si alternano a lunghi periodi di “accademismo”, e in generale quel tipo di “arte normale” che riproducendo certi principi compositivi o teorici stimola, a sua volta al proprio interno, una nuova rivoluzione.
Un consistente numero di Manifesti e Secessioni ha segnato la continuità della storia, ponendosi ogni volta come punto di svolta del nuovo corso della cultura; ma, in maniera non dissimile da quanto accade per il progresso scientifico, ogni soluzione ha aperto nuove problematiche, risolte a sua volta dalla nuova visione del mondo. Osservate dall’alto della ragione storica, sembra che le rivoluzioni (si) succedano per un’inevitabile serie di opportuni accadimenti seguendo con logica coerenza le condizioni che le hanno create; sulla falsariga di quanto sosteneva Kuhn, è un po' come se venissero (r)aggiunte per l’esaurirsi delle capacità euristiche del paradigma.
Quello che stavamo cercando nelle opere degli artisti era un pensiero anti-passatista, inteso non tanto come rifiuto del passato, dell’accademismo o qualsiasi altra forma di classico , quanto piuttosto come rilettura obiettiva della storia, lontano da riferimenti ideologici pretestuosi per proiettare la prassi artistica su tematiche più universalistiche attinenti il mutamento e la trasformazione, componenti ultimi e soluzione del reale. È possibile che questo sia un fattore generazionale, e nasca dall’esigenza di riflettere un periodo ed un ambiente culturale assai sfuggente; molti degli artisti invitati lavorano sull'idea di costruzione e adattamento, su equilibri formali e rapporti di forze e crediamo che questo atteggiamento derivi in buona parte dalla condizione in cui si trovano a vivere e operare, un sistema dell'arte nazionale sempre più chiuso su se stesso che non offre alcuna possibilità agli artisti italiani, che lentamente si stanno trovando ad operare in un paese così problematico da poter diventare esotico ad una visione internazionale. Un Paese in cui, come scriveva Francesco Bonami: é capitato di avere la peggiore iattura di due genitori (nonni) perfetti: l”Arte Povera” e la “Transavanguardia”, movimenti che hanno gettato un'ombra così lunga da oscurare le generazioni artistiche che li hanno seguiti. Paradigmi tanto ingombranti – resilienti da apparire perfino dogmatici – da inibire lo sviluppo di un nuovo corso per l’arte. I nipoti di questi nonni “perfetti”, al contrario dei genitori, non cercano la ribellione ma analizzano il proprio presente alla ricerca di una soluzione per il futuro. Il paradigma contemporaneo sembra essersi risolto dentro se stesso, superando il semplice mutare della realtà sotto di sé per farne obiettivo della pratica artistica.
Queste considerazioni intendono aprire uno spazio critico sulle attuali “capacità” dell’arte contemporanea, sottoponendo alla verifica sperimentale alcuni principi artistici ed espositivi: senza pretesa di esaustività abbiamo raccolto una serie di artisti considerati come marcatori, sensibili indicatori di un’anomalia riconducibile, verosimilmente, all’ esaurirsi della capacità esplicativa del paradigma - ad un errore di sistema - lasciando trasparire una tendenza alla ricostruzione della realtà partendo dai suoi elementi ri-contestualizzati, riformulati o decostruiti.
La mostra si svolgerà in due sedi/momenti: all’interno della galleria FuoriCampo di Siena verrà presentato un piccolo lavoro di ogni artista, una serie di “suggerimenti” che anticipano senza svelare l’allestimento delle opere nello spazio di StudioO2 a Cremona, un ex edificio industriale dove un gruppo di giovani ingegneri porta avanti un lavoro per certi verso analogo a quello di molti artisti in mostra direzionando la ricerca verso una soluzione di stabilità condivisa, un equilibrio dinamico con l’ambiente e la società.
Ettore Favini & Jacopo Figura